Chi siamo

La storia della famiglia Croci è il sentiero ben battuto che oggi Massimiliano e il fratello Giuseppe possono seguire per condurre nel ventunesimo secolo un’azienda agricola fondata da un uomo dell’Ottocento.

C’è una storia di migrazione dietro la nascita della Tenuta vitivinicola Croci: il nonno, classe 1898, agricoltore figlio di agricoltori, nel 1935 raggiunse la collina di Monterosso, che guarda dall’alto il borgo di Castell’Arquato, da Mignano, sempre in Val d’Arda ma 15 chilometri più a sud, verso l’Appennino.

Ermano, il padre dei due fratelli Croci, era nato in montagna nel 1938 e raggiunse bambino, con la madre e gli 8 fratelli, il padre, che nel frattempo aveva sistemato quel podere.

In montagna i Croci avevano tanti appezzamenti sparsi, boschi, praticavano un’agricoltura di sussistenza e producevano un sidro di mele. A Monterosso, a 250 metri sul livello del mare, avevano a disposizione un terreno a corpo unico, dove c’era sempre stato un po’ di vigneto. Realizzarono un’azienda completa, di quelle che oggi vengono chiamate multi-funzionali. Si costruì una stalla e nei campi si coltivava il foraggio. 

Il nonno vendeva uva alle osterie e anche ai privati, che poi si facevano il vino a casa. Anche i ristoranti nella Bassa compravano l’uva, non il vino. Ermano, il padre di Massimiliano e Giuseppe, era il più piccolo di 9 fratelli e fu l’unico a restare sul podere: i fratelli maggiori sono emigrati, verso l’Argentina e a Londra. Con la fine della mezzadria, invece di raggiungere il fratello oltre la Manica scelse di restare a fianco dei genitori, che erano anziani e avevano bisogno di aiuto.

Nel frattempo, il mercato dell’uva era cambiato: negli anni Settanta si faceva tanto sfuso e anche le osterie compravano il vino a damigiane. Ermano iniziò a imbottigliarne un po’ e nel 1980, spinto dalla moglie Silvana, mise la sua prima etichetta. Il vino della Tenuta vitivinicola Croci entrò nei bar e nelle osterie: era un altro modo di intendere il “vino della casa”. L’azienda si è così specializzata nelle bottiglie.

Negli anni Ottanta il successo delle bottiglie ha permesso di far crescere la superficie vitata mentre la stalla venne dismessa, quando divenne chiaro che era impossibile competere con gli stabilimenti agro-industriali di pianura. L’azienda crebbe fino ad arrivare ai 18 ettari, circa la metà dei quali vitati. Ermano ha sempre seguito la tradizione emiliana della rifermentazione naturale in bottiglia, coltivando i vitigni del territorio, Ortrugo, Malvasia di Candia e Marsanne tra i bianchi, Barbera e Bonarda tra i rossi. Non l’ha mai abbandonata, nemmeno quando il mercato ha iniziato a chiedere vini realizzati in autoclave.

Oggi s’è forse compreso che la tradizione è moderna e negli ultimi anni la cantina realizzata dai genitori, quella dove vinificano Massimiliano e Giuseppe, ha accompagnato i primi passi di alcune nuove giovani cantine, ospitando le prime vendemmie di vignaioli che hanno scelto di insediarsi sui Colli piacentini per produrre vini rifermentati in bottiglia.

A partire dal 2019 un’altra piccola rivoluzione: Massimiliano, appassionato di mietitrebbie come il padre lo era di trattori, ha immaginato che i cereali coltivati in azienda non dovessero più finire all’ammasso, venduti al Consorzio; oggi sulla collina di Monterosso si semina un miscuglio evolutivo che viene trasformato in farina ed etichettato come un cru, Giorgino, il cui nome si affianca a quelli – più conosciuti – dei vini, Alfiere, Campedello, Galvano, Lubigo e San Bartolomeo.